Riflessione a Cura di Fulvio Pedretti
Mercoledì 22 aprile si celebrerà la 50° edizione dell’Earth Day, la “Giornata della Terra”, la più grande manifestazione ambientale del globo, l’unico momento in cui tutti i cittadini del mondo si uniscono per celebrare il nostro pianeta e promuoverne la salvaguardia. La prima fu nel 1970, mezzo secolo fa.
Le Nazioni Unite celebrano l’Earth Day ogni anno, un mese e due giorni dopo l’equinozio di primavera, appunto il 22 aprile, con il coinvolgimento fino a un miliardo di persone in ben 192 paesi del mondo.
Nata per sottolineare la necessità della conservazione delle risorse naturali della Terra, nel tempo la Giornata della Terra è divenuta un avvenimento educativo ed informativo. I gruppi ecologisti la utilizzano come occasione per valutare le problematiche del pianeta: l’inquinamento di aria, acqua e suolo, la distruzione degli ecosistemi, le migliaia di piante e specie animali che scompaiono, l’esaurimento delle risorse non rinnovabili. Si insiste in soluzioni che permettano di eliminare gli effetti negativi delle attività dell’uomo; queste soluzioni includono il riciclo dei materiali, il divieto di utilizzare prodotti chimici dannosi, la cessazione della distruzione di habitat fondamentali come i boschi umidi e la protezione delle specie minacciate.
L’idea della creazione di una “Giornata per la Terra” prese definitivamente forma il 22 aprile 1970 a causa del disastro ambientale provocato dalla fuoriuscita di petrolio dal pozzo della Union Oil al largo di Santa Barbara, in California, a seguito del quale il senatore americano Nelson decise fosse giunto il momento di portare le questioni ambientali all’attenzione dell’opinione pubblica e del mondo politico: “Tutte le persone, a prescindere dall’etnia, dal sesso, dal proprio reddito o provenienza geografica, hanno il diritto ad un ambiente sano, equilibrato e sostenibile”.
Nel corso degli anni la partecipazione internazionale all’Earth Day è cresciuta superando oltre il miliardo di persone in tutto il mondo: è l’affermazione della “Green Generation”, che guarda ad un futuro libero dall’energia da combustibili fossili in favore di fonti rinnovabili, alla responsabilizzazione individuale verso un consumo sostenibile, allo sviluppo di una green economy e ad un sistema educativo verso i più giovani ispirato alle tematiche ambientali.
Quest’anno il pensiero corre a un altro cinquantenario celebrato da poco: quello della conquista della Luna. Visti in una prospettiva storica, i due cinquantenari sono strettamente connessi. Ci rendiamo conto di vivere su un pianeta fragile e con risorse limitate, da quando per la prima volta fu possibile vedere la Terra sospesa nello spazio in una foto che scattò l’astronauta Anders nel 1968 durante la missione Apollo 8 che circumnavigò la Luna con un equipaggio a bordo. La missione dall’Apollo 11, che il 21 luglio 1969 vide lo sbarco sulla Luna, certificò che nello spazio vicino intorno a noi ci sono solo deserti inospitali, non giardini fioriti come questo che ci ospita: la Terra è davvero qualcosa di speciale e di unico nel sistema solare.
Ci troviamo su una strana astronave che trasporta i passeggeri non nel suo abitacolo, ma sulla sua superficie. Oggi noi passeggeri siamo 7,7 miliardi, il doppio di cinquant’anni fa, le incontrollate emissioni di gas hanno accentuato l’effetto serra, la temperatura globale è aumentata di un grado, in Italia l’inverno appena finito è stato il più caldo almeno dalla metà dell’Ottocento ad oggi: 3 gradi sopra la media. E non c’è un’altra Terra, inutile illudersi su Marte o sui pianeti di altre stelle. Facciamocene una ragione… Siamo passeggeri, ma anche piloti: ognuno può e deve fare qualcosa perché l’astronave non finisca su una rotta sbagliata.
Per riportarci al tema di maggior attualità, la pandemia di Covid 19 sta svolgendo una funzione analoga a quella della fotografia del 1968: basta guardare la mappa della sua diffusione mondiale. La pandemia ci ha fatto scoprire non la fragilità della Terra, ma quella del suo equipaggio umano. Ora tutti dovrebbero sapere che la nostra vita dipende da equilibri naturali delicatissimi. In tre miliardi di anni di evoluzione biologica milioni di specie sono comparse e si sono estinte.
Il coronavirus è una pallina che misura circa un decimillesimo di millimetro. Eppure ci sta insegnando che si può vivere in modo più semplice ed essenziale, ascoltando anziché facendo rumore. Stili di vita e di consumo che rispettino l’ambiente sono possibili, senza per questo fermare il benessere e il progresso tecnologico, anzi aiutandolo: abbiamo capito, per esempio, le potenzialità della cultura digitale e della smaterializzazione di molti consumi. Sappiamo che la scienza e la tecnologia possono aiutarci.
E, allora, proviamo anche noi oggi a rispondere al grido della nostra terra, troppo spesso maltrattata e saccheggiata.
Questi giorni difficili si insegnino a non inquinare, non sprecare, non sfruttare e ci ricordino tre princìpi: “Non siamo padroni di nulla, la vita sulla terra dipende anche da ciascuno di noi, l’economia è utile solo se ordinata allo sviluppo sostenibile e alla bellezza”.
Lanciare un segnale di speranza, soprattutto in questo periodo, è fondamentale. Abbracciare un’idea di economia civile e di comunione è possibile: il trinomio “sostenibilità, profitto e fraternità” non è un’ingenua utopia, ma deve diventare una concreta direzione verso cui muoversi.
Già Papa Francesco nel 2015, con la sua Enciclica “Laudato Sì”, si è posto sulla scia di Francesco d’Assisi, proclamato patrono dell’ecologia, per spiegare l’importanza di un’ecologia integrale, in cui la preoccupazione per la natura, l’equità verso i poveri, l’impegno nella società, ma anche la gioia e la pace interiore risultano inseparabili. Nei sei capitoli dell’Enciclica, il Papa evidenzia che la nostra terra, “maltrattata e saccheggiata”, richiede una “conversione ecologica”, un “cambiamento di rotta” affinché l’uomo si assuma la responsabilità di un impegno per “la cura della casa comune”. Impegno che include anche lo sradicamento della miseria, l’attenzione per i poveri, l’accesso equo, per tutti, alle risorse del Pianeta.
L’Enciclica non deve essere letta come un documento scientifico, è piuttosto un documento spirituale che invita prima di tutto ad una «conversione ecologica». La salvaguardia dell’ambiente è collegata alla giustizia verso i poveri e alla soluzione dei problemi di un’economia che persegue soltanto il profitto.
E, allora, per concludere non vi sono forse parole migliori che queste di San Francesco: «Cominciate col fare ciò che è necessario, poi ciò che è possibile. E all’improvviso vi sorprenderete a fare l’impossibile».
Fulvio Pedretti