Riflessione a Cura di Mons. Erminio Villa
8 ottobre 2023
VI DOMENICA DOPO IL MARTIRIO DI GIOVANNI (A)
VANGELO Lc 17, 7-10
✠ Lettura del Vangelo secondo Luca
In quel tempo. Il Signore Gesù disse: «Chi di voi, se ha un servo ad arare o a pascolare il gregge, gli dirà, quando rientra dal campo: “Vieni subito e mettiti a tavola”? Non gli dirà piuttosto: “Prepara da mangiare, strìngiti le vesti ai fianchi e sèrvimi, finché avrò mangiato e bevuto, e dopo mangerai e berrai tu”? Avrà forse gratitudine verso quel servo, perché ha eseguito gli ordini ricevuti? Così anche voi, quando avrete fatto tutto quello che vi è stato ordinato, dite: “Siamo servi inutili. Abbiamo fatto quanto dovevamo fare”».
- Servi inutili, per amore
La gratuità del ministero prolunga nel tempo e nello spazio il mistero della misericordia di Dio. La gratuità è il segno essenziale dell’amore e il sigillo di appartenenza al Signore. Essa ci fa come lui, schiavi per amore. E’ la massima libertà che ci rende simili a Dio.
La missione dei cristiani nel mondo è, prima di tutto, testimonianza dell’amore gratuito di Dio.
Nel suo addio agli anziani della Chiesa di Efeso, Paolo dice: “Non ritengo la mia vita meritevole di nulla, purché conduca a termine la mia corsa e il servizio che mi fu affidato dal Signore Gesù di rendere testimonianza al messaggio della grazia di Dio” (At 20,24).
Il cristiano è chiamato servo, schiavo di Gesù Cristo perché appartiene totalmente a lui. Questa schiavitù è la più alta realizzazione della libertà di amare perché rende il cristiano simile al suo Signore Gesù che è tutto del Padre e dei fratelli.
Il lavoro dello schiavo è insieme dovuto e gratuito perché, lui e il suo lavoro, appartengono al Signore. La traduzione: “Siamo servi inutili” non è esatta perché lo schiavo che compie il suo lavoro non è inutile e perché Dio non ha creato nulla di inutile.
In greco “achreioi” significa inutili o senza utile, cioè senza guadagno. Ciò significa che i cristiani non si impegnano per guadagno, per un utile personale, ma per dovere e gratuitamente. L’apostolato è di sua natura gratuito e rivela la sorgente da cui scaturisce, l’amore gratuito di Dio:
- La magnanimità di Dio
Ciò che Dio dà all’uomo non gli è dovuto in termini contrattuali, ma è grazia. Per quanto l’uomo possa impegnarsi o fare, tutto quello che riceve non è in proporzione con quello che egli ha compiuto: è sempre un’elargizione della bontà e misericordia di Dio.
Il trattamento che egli usa con noi è sempre conforme alla sua bontà, non alle nostre prestazioni. Un padrone è forse tenuto ad essere grato al servo perché ha fatto quel che gli è stato comandato? Il servo, qualunque servizio abbia fatto, non ha diritto, per il suo stato sociale, a una ricompensa. Questa potrà essergli data se il padrone lo vorrà, come puro dono, non come pagamento.
Nella mentalità farisaica invece la felicità eterna dipende dai meriti che ci si è procurati… Ecco l’esempio da imitare: dobbiamo fare tutto quello che ci è stato ordinato, come “servi inutili”.
In altre parole il vero discepolo crede senza pretendere nulla e ama senza avere il contraccambio, ma semplicemente perché è contento così: perché Dio è un Padre buono e misericordioso, che manda il proprio Figlio non per essere servito ma per servire.
La comunione con Dio, verso la quale tende tutta la vita spirituale, trascende ogni prestazione umana e non può essere concepita come un salario, sulla base del principio del mercato.
Dio non si lascia vincere in generosità: il premio ci sarà, ma gratuito e in una misura infinitamente superiore alle attese e ai meriti dell’uomo.
- Le immense potenzialità della fede
Sono le opere in cui si rivela una carica immensa di amore e di coraggio, di umiltà e di impegno tenace al servizio degli altri, specialmente i più poveri e bisognosi. Chi ha una fede autentica non potrà mai venir meno, nonostante i limiti e le debolezze, di fronte agli ostacoli e le prove disseminate sul cammino. Sull’esempio di Gesù, che va verso Gerusalemme, il luogo del dono di sé, il credente sarà capace di andare fino in fondo nella sua fedeltà a lui e al suo messaggio.
Così pure la comunione con Dio, verso la quale tende una vita di fede, trascende ogni prestazione umana e non può essere concepita come un salario, sulla base del principio del do ut des.
Solo fidandosi di Dio, senza preoccuparsi dei propri meriti, l’essere umano trova la capacità di operare correttamente per il regno di Dio e al tempo stesso la pace interiore.
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don Erminio