Riflessione a Cura di Mons. Erminio Villa
3 novembre 2024
II DOMENICA DOPO LA DEDICAZIONE DEL DUOMO (B)
VANGELO Lc 14, 1a. 15-24
✠ Lettura del Vangelo secondo Luca
In quel tempo. Un sabato il Signore Gesù si recò a casa di uno dei capi dei farisei. Uno dei commensali gli disse: «Beato chi prenderà cibo nel regno di Dio!». Gli rispose: «Un uomo diede una grande cena e fece molti inviti. All’ora della cena, mandò il suo servo a dire agli invitati: “Venite, è pronto”. Ma tutti, uno dopo l’altro, cominciarono a scusarsi. Il primo gli disse: “Ho comprato un campo e devo andare a vederlo; ti prego di scusarmi”. Un altro disse: “Ho comprato cinque paia di buoi e vado a provarli; ti prego di scusarmi”. Un altro disse: “Mi sono appena sposato e perciò non posso venire”. Al suo ritorno il servo riferì tutto questo al suo padrone. Allora il padrone di casa, adirato, disse al servo: “Esci subito per le piazze e per le vie della città e conduci qui i poveri, gli storpi, i ciechi e gli zoppi”. Il servo disse: “Signore, è stato fatto come hai ordinato, ma c’è ancora posto”. Il padrone allora disse al servo: “Esci per le strade e lungo le siepi e costringili a entrare, perché la mia casa si riempia. Perché io vi dico: nessuno di quelli che erano stati invitati gusterà la mia cena”».
- A Dio non garba l’ingratitudine
Do fatica a contemplarla. E’ come preso da un moto di ira quando si presenta alla sua porta. Almeno dal vangelo cogliamo un po’ questo. Senza poi tirare in ballo il brano parallelo di Matteo quando di fronte alla restituzione al mittente dell’invito a nozze il re si indignò al punto di mandare le sue truppe: li fece uccidere e diede alle fiamme la loro città. Qui diventa addirittura vendicativo e spietato.
Eppure Dio dovrebbe conoscere il cuore dell’uomo. Sa che è intasato da metastasi di ingratitudine. Sa che ogni figlio è ingrato verso i padri ed è un destino comune tra gli umani. Proprio a motivo ciò si è creato il detto: “non fare il bene se non sai sopportare l’ingratitudine”.
Perché se ci aspettassimo necessariamente la gratitudine nessuno più farebbe il bene. Ma forse che Dio non sa tutte queste cose? Perché nella parabola il re è così sdegnato e adirato?
Dobbiamo dire anzitutto che questa parabola tratta gli ultimi tempi. Il Re è Dio, il banchetto è il paradiso e gli invitati sono gli uomini. Diciamo che l’invito qui diventa decisivo e l’ingratitudine assume proporzioni infinite e drammatiche. Il non presentarsi alla festa è praticamente un suicidio eterno. Di questo soffre Dio.
Dio ha pensato la storia in vista di quel giorno, di quell’ultimo giorno, del giorno senza tramonto. Dio ha dispiegato l’universo sui binari dello spazio e del tempo per portare l’umanità definitivamente con sé.
La storia è un tappeto disteso verso la stanza del Re, verso quel banchetto a cui tutti noi siamo invitati. Quanta stoltezza nella nostra ingratitudine! Una vera volontà di autodistruzione che sgomenta il nostro stesso creatore. I ricchi dal cuore ingrato allora vengono sostituiti dai poveri ricchi di gratitudine.
- I motivi del rifiuto
Il primo motivo è il possesso, l’accumulo dei beni. Ognuno va verso l’oggetto del suo desiderio, ognuno è fatalmente attirato verso il suo tesoro. Gesù insegna: “Dov’è il vostro tesoro, là sarà anche il vostro cuore” (Lc 12,34).
E ancora: “Il seme caduto in mezzo alle spine sono coloro che, dopo aver ascoltato, strada facendo si lasciano sopraffare dalle preoccupazioni, dalla ricchezza e dai piaceri della vita e non giungono a maturazione” (Lc 8,14). Il ricco è fatalmente alienato nelle cose che ha.
Il secondo motivo è il commercio. Il suo movente non è lo scambio dei beni necessari, ma quel di più, il plusvalore, che costituisce il guadagno, anima del commercio. La cosa comprata o venduta non interessa in sé, ma solo in quanto occasione di guadagno.
Si vendono anche le cose più inutili, più nocive, più disoneste; si vendono uomini, donne, bambini; si vende Cristo (Lc 22,4-6) pur di guadagnare. Il commerciante di questa parabola sa valutare i propri interessi materiali, ma non quelli spirituali ed eterni: è un pessimo mercante.
Il terzo motivo è la moglie. Al v. 26 leggiamo: “Se uno viene a me e non odia suo padre, sua madre, la moglie, i figli, fratelli e sorelle, perfino la propria vita, non può essere mio discepolo” Il coniuge non deve essere un impedimento nel rispondere all’invito del Padre. Quando il coniuge diventa un piacere della vita, soffoca la parola di Dio nel cuore (cfr Lc 8,14).
E mentre gli altri, sopra nominati, si scusano declinando l’invito, quest’ultimo non ne sente affatto il bisogno: è naturale che la moglie sia una scusa più che sufficiente per rifiutare l’invito di Dio! Perché, in definitiva, il possesso, il commercio e la moglie sono più importanti di Dio.
Due gruppi di persone prendono il posto di coloro che erano stati invitati per primi e hanno rifiutato.Sono coloro che la dottrina farisaica escludeva dal regno di Dio: i poveri (zoppi, storpi e ciechi) e i pagani. Del tutto diverso è il parere di Gesù.
E’ proprio ai poveri e ai pagani che egli spalanca la via che conduce alla cena del regno di Dio. Gesù trova in essi le condizioni da lui proclamate come fondamentali per potervi essere ammessi. Così ci insegna che tutti quelli che credono di salvarsi con le loro osservanze (i farisei di tutti i tempi), resteranno fuori dalla cena, fino a quando non si metteranno tra gli ultimi e gli esclusi.
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don Erminio